Nei panni di Anna: un difficile cammino tra desiderio e realtà
Nei primi mesi del 2016, nelle sale cinematografiche italiane, si proietta un film molto emozionante e poetico, The Danish Girl. Ambientato in un’affascinante cornice anni venti, narra con estrema delicatezza e rispetto, il tema del problema dell’identità di genere, del pregiudizio, di un grande amore e del tormentato vissuto del protagonista, il quale prima di intraprendere un percorso più difficile e senza ritorno, ricorre anche all’aiuto di diversi psicologi che ancorati alle convenzioni sociali lo etichettano come un pervertito o nella migliore delle ipotesi affetto da sindrome schizofrenica…
Questo tema è assolutamente molto attuale e fortunatamente, oggi uno psicologo o uno psicoterapeuta si approccia a tale casistica, sia si tratti di un orientamento sessuale, come i frequenti consulti per la difficoltà a riconoscere o esprimere la propria omosessualità, sia riguardo a casi di travestitismo o di un disturbo dell’identità di genere, con il massimo rispetto e con una visione guidata esclusivamente dai bisogni del paziente e quindi scevra da ogni pregiudizio.
Nella mia attività di psicologo e psicoterapeuta situazioni riconducibili a questo tema, talvolta, si sono alternate nel tempo, ognuna delle quali con la propria specificità e spesso con un doloroso bagaglio da depositare nel mio studio. La visione del film menzionato mi condiziona a preferire di non addentrarmi in un caso di terapia familiare, come per il problematico vissuto della famiglia di Federica, una ragazza ventenne che combatte con la propria omosessualità, fonte di un grave disturbo depressivo; tantomeno di analizzare il successo della psicoterapia di Giacomo, un trentenne che sedava il suo senso di inadeguatezza con il travestitismo e l’abuso di droghe, o ancora la terapia di coppia di Fernando un ragazzo omosessuale; infatti, preferirei ricordare un’altra storia, un altro processo terapeutico.
Giovanni, questo è il suo nome fittizio, come del resto di fantasia sono tutti i nomi citati nei miei elaborati… lui ha trentacinque anni, sposato e con un figlio di otto anni … lo incontro nel mio studio a seguito di ripetuti attacchi di panico, associati a lievi sintomi depressivi. Il desiderio di rivolgersi a uno psicologo o come lui stesso riferì a un esperto psicoterapeuta era un’idea che accarezzava da molti anni…perché al di là dei sintomi manifesti i nodi da sciogliere sono veramente tanti… Appare da subito evasivo sull’esplicitare la molla che lo induce a consultarmi o meglio che determina il suo rimpianto ad aver procrastinato così a lungo questo passo…il suo sguardo sfuggente e triste, camuffa numerosi segreti o forse difende i suoi tesori, il suo aspetto gradevole e raffinato è sbattuto sotto il peso del suo evidente malessere. Durante il terzo incontro, mentre eravamo alle prese con la ricostruzione della storia trigenerazionale e dei suoi vissuti, Giovanni decide di fidarsi di me, fino in fondo, svelando le difficoltà legate alla sua identità di genere e si dona completamente a un processo terapeutico più vero e profondo.
Sin da bambino ho desiderato essere una bimba, invidiavo le mie compagne di classe i loro abiti, i loro capelli…immaginavo di essere una di loro e di chiamarmi Anna. Negli anni vedevo questa bambina crescere, truccarsi pettinarsi i suoi lunghi capelli in suggestive acconciature…a volte, quando vedevo il mio volto riflesso, immaginavo i miei occhi truccati, rimmel ed eyeliner non sarebbero mancati; questo gioco continuo a farlo tuttora…non credo mi percepissi omosessuale, si mi sono sentito attratto, anzi attratta da un paio di ragazzi, ma immaginavo di essere una bella ragazza non un uomo che si concede una relazione omosessuale…
Il disturbo dell’identità di genere di Giovanni era il suo segreto più profondo e inconfessabile, oltre a me lo aveva rivelato solo alla sua fidanzata, che lo aveva accettato pienamente, tanto da divenire sua moglie; a lei era legato da un amore autentico e un grande rispetto…tra loro un’intesa profonda, tante tenerezze, tanti baci e carezze e soltanto un paio di rapporti completi, mirati al concepimento del figlio, al raggiungimento del sogno della loro territorialità…
La rilettura dei suoi sintomi all’interno di una cornice che restituisse il giusto significato garantì la loro scomparsa, ma sapevamo che il lavoro era ancora in via di sviluppo. Il percorso di psicoterapia, infatti, si snodò lungo un arco di alcuni anni, furono rintracciati i blocchi che lo avevano condizionato in molte scelte passate, tra cui la parentesi dell’uso di droghe, il tormentato rapporto con il padre, con lo zio celibe e da sempre convivente nella casa paterna, le ridondanze della famiglia di origine, e gli ostacoli attuali che impedivano il raggiungimento della sua felicità…Anna come preferiva che nel nostro spazio ci si riferisse a lui, riuscì lentamente a mettere a fuoco i suoi bisogni profondi e a cercare di conciliare i suoi desideri con la realtà, con la sua paternità e con la ferma volontà a non stravolgere la sua famiglia che come spesso ripeteva era il dono più grande…S’iscrisse a un corso di teatro, questo spazio e il lavoro che né conseguì, favorì una vera rinascita…divenne molto bravo e nel suo piccolo anche molto apprezzato, interpretando sempre più spesso ruoli femminili…la terapia si concluse in un clima di rinnovato benessere.
Un paio di anni dopo ricevetti una sua telefonata, era decisamente euforico… e desiderava invitarmi a un suo spettacolo, avrebbe interpretato Anna, una battagliera femminista…ma questo ancora non lo sapevo…quando lo vidi sul palco nei panni di questa donna, capì l’importanza del mio essere lì, mi commossi, gioendo per questa sua nuova vita, penso che la moglie, custode come me del suo segreto, non poté evitare di sentirsi orgogliosa di lui.