Sintomo, cause e significato nell’approccio sistemico
Nella mia attività di psicoterapeuta incontro numerose persone, tutte guidate dal desiderio di risolvere la problematica che le affligge, questa talvolta le riguarda direttamente e in altri casi in modo indiretto, ossia riferibile ad un loro congiunto. Considerando che la famiglia soggiace alle regole dei sistemi viventi e che pertanto i suoi membri sono in stretta relazione tra loro, dobbiamo desumere che un cambiamento comportamentale di un familiare produrrà inevitabilmente un adattamento nell’intero sistema. Solitamente la fretta di giungere ad una soluzione è l’elemento unificante di molte situazioni, anche se sono svariate le ragioni che le hanno indotte a varcare la soglia del mio studio. I tempi necessari e variabili da caso a caso, per il successo terapeutico, sono determinati da numerosi fattori e questi non sono tutti riferibili al terapeuta, al paziente e tantomeno alla gravità del caso. Nella pratica clinica sono numerosi gli approcci che si concentrano su alcuni segmenti invece che su altri e sono tutti suffragati da teorie ed esperienze scientifiche che ne determinano la validità e ne prospettano l’efficacia, pur riservando una scarsa, o quantomeno differente, attenzione ad alcuni elementi che nella terapia sistemica diventano centrali e fondamentali.
Nello specifico una grande distinzione tra i diversi approcci terapeutici può delinearsi rispetto all’attenzione esclusiva sulla manifestazione comportamentale sgradita e al suo controllo da una parte e dall’altra sulle cause che hanno determinato il sintomo e la decodifica dello stesso, senza trascurare anche l’impatto e l’influenza che questo determina all’interno del sistema familiare.
Questi elementi, focalizzati sulle cause e sulle ripercussioni sui contesti di appartenenza dei pazienti, sono spesso trascurati da molti approcci i quali si concentrano o sugli aspetti osservabili del sintomo o sulle condizioni intrapsichiche che lo sottendono. La terapia sistemico relazionale si preoccupa maggiormente del significato latente che il sintomo ha rappresentato e rappresenta per il paziente e il suo contesto. Infatti la sintomatologia esperita, racconta molto più di ciò che è visibile e non è altro che una lingua sconosciuta, che acquista significato se analizzata e interpretata in relazione al suo contesto di riferimento e conseguentemente alle dinamiche relazionali che la qualificano; infatti la comparsa del sintomo non è casuale, questo ha assolto a una funzione inconsapevolmente ritenuta essenziale, anche se il prezzo pagato è spesso molto oneroso. Alla luce di queste premesse per una valutazione adeguata ed un intervento efficace, l’attenzione è strettamente orientata verso il processo e la qualità dell’interazione tra i vari familiari e conseguentemente il comportamento esperito diviene parte e funzione delle relazioni del sistema, contribuendo in modo significativo a determinarne la qualità.
Pertanto, durante un primo consulto, per poter determinare al meglio il problema presentato si raccolgono alcuni dati molto importanti attraverso l’osservazione del qui ed ora e cioè sia gli scambi relazionali del soggetto o della famiglia con il terapeuta e sia l’interazione interna al nucleo e quindi tra i vari membri del sistema; inoltre è desumibile che l’analisi non sorvola su tutte quelle evidenze macroscopiche che delineano la vita relazionale del paziente e della sua famiglia. I lutti, le separazioni, le nascite, le differenze d’età, la composizione familiare, le malattie e tutti gli altri elementi che possono essere messi in relazione con il presente e con l’esordio del disturbo diventano una fonte di informazione preziosa. Altri dati fondamentali si desumono dalla storia trigenerazionale del sistema, attraverso la quale si determina il modello fondatore della famiglia, ossia l’insieme di teorie che la famiglia ha di se stessa e le eventuali ridondanze generazionali. L’analisi trigenerazionale si sviluppa nel corso degli incontri successivi, raccogliendo la storia familiare di tre generazioni, ossia nonni, genitori e paziente. La raccolta di queste storie di vita acquista un significato indispensabile nella valutazioni di schemi relazionali comuni, di ridondanze e di tutte quelle espressioni trasmesse alle generazioni successive o dalle quali si è cercato di differenziarsi. Si restituisce e si determina l’appartenenza familiare e il significato profondo di molte posizioni, fino ad allora ritenute casuali e si traccia la funzione del sintomo al momento della sua comparsa e le cause attuali che inibiscono la scomparsa dello stesso. Procedendo in questa direzione si lavora sulla consapevolezza del portatore del sintomo e sulle risorse dello stesso e del suo sistema, operando in direzione di un cambiamento che sia efficace e duraturo nel tempo. Infatti avendo accennato al legame relazionale tra i membri della famiglia e alla loro interdipendenza non può realizzarsi la scomparsa, a lungo termine, del sintomo né si può inibire la sua sostituzione con altri comportamenti disfunzionali, se non si interviene anche sulle condizioni contestuali che possano inficiare la sua funzione o i benefici secondari che nel tempo si sono determinati e stratificati. Considerare che il portatore del sintomo abbia dei benefici o che la sua comparsa abbia assolto ad una funzione, per i non addetti ai lavori può apparire poco credibile, ma accostandosi e affidandosi al lavoro terapeutico tutto diventa estremamente chiaro e condiviso con forte convinzione.
Giorgio è un ragazzo di 24 anni, studente universitario che da alcuni anni soffre di continui attacchi di panico e uno stato d’ansia perenne, accompagnato da un umore altalenante, caratterizzato soprattutto da stati depressivi. Si presenta, su invito del terapeuta, accompagnato dalla sua famiglia: i genitori e un fratello maggiore di sei anni. Durante i primi incontri si delinea una marcata attinenza tra lo stato emotivo di Giorgio e le caratteristiche paterne, estremamente apprensivo e dimesso, mentre la madre e il fratello, anche se molto preoccupati, svalutano e minimizzano gli stati emotivi di Giorgio. I familiari lo descrivono come un piccolo Gian Burrasca prima della comparsa del sintomo, manifestatosi nell’ultimo anno di scuola superiore.Dalla storia familiare emerge un evento tragico avvenuto pochi mesi prima la nascita di Giorgio, la morte del gemello del padre, avvolta da un segreto misterioso. Nel lavoro terapeutico si evidenzia la mancata elaborazione del lutto da parte del padre e l’incapacità oggi come ieri della madre di confortare il marito. Si delinea una funzione precisa del sintomo di Giorgio, in sintesi impegnato a distrarre i propri genitori dalle loro difficoltà personali e di coppia e questo si è demarcato sin dai primi anni di vita, per poi esplodere con il comportamento sintomatico. I suoi comportamenti hanno distratto la famiglia da altre preoccupazioni, dando voce al dolore e all’insoddisfazione comune e producendo un beneficio secondario in Giorgio che, avvertendo come pericoloso il suo svincolo dalla famiglia, ha sviluppato un sintomo che lo rende inabile ad assumersi le proprie responsabilità e a spiccare il volo, e inconsapevolmente trova in questo la giustificazione ai timori e alle pressioni dalle quali vorrebbe ma ritiene di non potersi sottrarre. Con il tempo, il lavoro terapeutico ha permesso che le ragioni iniziali perdessero di valore e i benefici secondari fossero superati restituendo ad ogni membro familiare la libertà e una nuova dimensione del vivere; questo traguardo è stato reso possibile organizzando il lavoro in sottosistemi e in modo particolare intervenendo sulle difficoltà di relazione della coppia in cui i figli e soprattutto Giorgio si erano sentiti in dovere di farsene carico.