La stanchezza di una coppia e la difficoltà a leggere nel proprio cuore: dalla mediazione alla psicoterapia di coppia
Angelo e Giuditta si presentano nel mio studio con la ferma volontà di essere guidati durante le fasi della loro separazione. Entrambi apparivano spinti dal desiderio di conciliare i bisogni reciproci e dal timore di non riuscire a tutelare adeguatamente i propri figli, da un’organizzazione affrettata e deficitaria. Questa conclusione voluta, principalmente da Giuditta, appare inevitabile ad Angelo, anche se la coppia ribadisce il proprio dolore e il rammarico per l’epilogo in atto.
Si avvia un percorso di mediazione di coppia, con due partners che a dire il vero sia per dichiarazioni verbali, sia per elementi non verbali, si dimostrano ancora molto legati; pur dichiarando il desiderio di perseguire nei loro intenti e di non voler intraprendere una psicoterapia di coppia.
Questa unione, come quella di molti altri coniugi che frequentano i miei studi, ha alle spalle una storia consolidata da anni di convivenza, da piccole e grandi crisi e soprattutto da numerosi mattoni incastrati con fatica, amore e perseveranza; tre figli, numerosi progetti e interessi che un tempo rappresentavano una delle componenti cementificanti del loro legame, mentre oggi appaiono come un ulteriore elemento di divisione e frattura.
Aderendo con una certa reticenza al mandato della coppia1, avviamo un programma per il raggiungimento degli obiettivi prefissati per giungere ad una sana e consapevole separazione, un processo che appare semplificato dal forte rispetto che contraddistingue questo rapporto.
Il percorso di mediazione prosegue con la regolarità e gli intoppi previsti in situazioni analoghe, giungendo poi a determinare e pianificare un primo periodo di prova con la programmazione di vacanze separate in compagnia dei figli.
Con la mia volontaria, seppur non espressa, sospensione temporanea del percorso terapeutico, si verifica, con scarsa sorpresa da parte mia, che il processo di separazione intrapreso e attuato con le vacanze in compagnia dei figli e in assenza di uno dei coniugi, viene messo in discussione, aprendo la strada ad una rinegoziazione delle proprie convinzioni, in linea con il loro più profondo e vero sentire.
La coppia, seppur timorosa e guardinga, mi ricontatta per un appuntamento accennando al loro ripensamento e alla possibilità di intraprendere un percorso di psicoterapia di coppia.
Durante la prima seduta di questa nuova fase, il lavoro di ridefinizione dei bisogni espressi rischiò di essere procrastinato a causa dei tortuosi e confusivi ragionamenti messi in atto da Angelo e Giuditta, rischiando di traghettarsi in uno spazio melmoso e poco funzionale al lavoro da intraprendere. La terapia di coppia, sulla base di queste premesse era destinata ad arenarsi nelle contraddizioni verbali espresse, ancor prima di muovere i primi passi.
Decisi di condividere il vissuto che il loro argomentare mi suscitava proponendo una lettura e una riflessione in merito al loro agire. Successivamente ritenni utile adottare una modalità di lavoro molto più analogica, utilizzando quindi il linguaggio non verbale a discapito di arzigogolate e contraddittorie verbalizzazioni, per costruire un processo di psicoterapia di coppia più snella e adeguata al caso. Il susseguirsi degli eventi e del clima terapeutico mi confermò la correttezza di questa scelta e nel giro di pochi incontri il tanto atteso salto in avanti della coppia esplicitò con fermezza una nuova stagione. Questo nuovo periodo della loro vita coniugale non rappresentava un magico momento privo di intoppi ma certamente un funzionale progredire tra le difficoltà del quotidiano e la rilettura dei propri vissuti e delle proprie aspettative.
Giorno dopo giorno i coniugi ritrovarono un nuovo modo di stare insieme e di dimostrarsi una vicinanza rinnovata, integrando quelle differenze che completano e arricchiscono l’altro, che si evolvono e si trasformano da elementi di separazione a contenuti di riconciliazione e rinegoziazione di un’unione salda e ancor più matura e consapevole.
1 La mia reticenza al lavoro di mediazione era determinata da una serie di elementi che mi indicavano concreti margini di lavoro sulla coppia, che appariva tutt’altro che pronta ad affrontare una separazione; avvertivo più una messa alla prova reciproca e una scarsa consapevolezza di questo meccanismo.